mercoledì 26 febbraio 2014

Agente V.: Licenza di Plagio


Sapevamo già che può trasformare il tranquillo sindaco di una città devastata dal terremoto in un superingegnere kamikaze.


Lo avevamo lasciato mentre s’inventava olocausti nucleari capaci di valergli il prestigioso premio internazionale “Muro della vergogna- Fukushima”

Ma adesso Giampaolo Visetti è tornato, e ha un’arma nuova di zecca: la licenza di plagio estesa a qualsiasi media straniero.

Ora, prima di tornare a scrivere su queste pagine a distanza di quasi due anni mi sono posto un problema cruciale: ho davvero qualcosa di nuovo da dire, o questo “Licenza di plagio” sembrerà solamente uno stanco tentativo di sfruttare il successo di pubblico e critica degli altri post? Come farò a rendere il sequel all’altezza dei kolossal precedenti?

La risposta me l’hanno fornita il protagonista indiscusso e il suo desk, che nel segno dell’impunità più totale riescono a inventare metodi sempre nuovi e creativi per massacrare quel poco che resta della fiducia nel mestiere di giornalista: sicuramente prima o poi salteranno fuori foto compromettenti, tipo immagini delle grandi firme di Repubblica impegnate a lanciare nani contro un bersaglio a forma di deontologia mentre Eugenio Scalfari intervista Gesù e scrive le risposte al posto suo, ma per ora dobbiamo accontentarci di quanto già pubblicato.

E vi assicuro che siamo già a livelli altissimi.

Il pezzo da analizzare, stavolta, è uno spettacolare reportage su Dongguan, la capitale cinese del sesso, pubblicato su Repubblica martedì 25 febbraio. (Il link rimanda a Dagospia perché non tutti sono abbonati a Rep.)

Nell’articolo, Visetti si aggira per una Dongguan semideserta, dove la nuova campagna anti-prostituzione scatenata dal governo centrale di Pechino ha imposto a saune e bordelli uno spietato coprifuoco. Il primo personaggio in cui si imbatte è un certo “Ou Yunqui”, presentato come “gestore del più elegante centro benessere di Dongguan”. 

Ciao, organizzo cene eleganti 

Se tralasciamo che “Yunqui” sembra più un nome spagnoleggiante che cinese, ciò che lascia perplessi è l’audacia di un “gestore di centro benessere” che si lascia intervistare con nome e cognome mentre per le strade della sua città la polizia sta arrestando i “gestori di centri benessere”. A una ricerca più approfondita, però, salta fuori che tale “Ou Yunqi” (questo sì un nome cinese) è stato intervistato dal South China Morning Post – il più importante quotidiano di Hong Kong – in data 20 febbraio. Questo Ou Yunqi, però, si rivela il general manager della Dongguan Qile Shangcheng, una ditta che produce “giocattoli per adulti, biancheria intima e preservativi”. Si tratta della stessa persona? Fa il magnaccia dietro la palese copertura di gestore sala benessere o è semplicemente un manager? Ha una doppia vita?


Ciao, in realtà faccio il manager in una fabbrica di vibratori 

Ma non solo i lavoratori dell’industria del sesso, anche quelli del settore immobiliare subiscono la campagna moralizzatrice: prendiamo ad esempio Ye Weijie, che a Repubblica dice di essere un costruttore e racconta di dover riconvertire il suo business. 

Mi chiamo Ye Weijie e sono uno squalo dell'immobiliare


Vuoi vedere che si tratta dello stesso Ye Weijie che, nell’articolo del SCMP di cui sopra, si presenta invece come un semplice agente immobiliare? 

Nah,volevo solo impressionarti: faccio l'agente Tempocasa

E soprattutto: com’è possibile che – in barba a ogni legge probabilistica – in una città di oltre 8 milioni di abitanti Giampaolo Visetti sia andato a intervistare proprio le stesse due persone che hanno rilasciato dichiarazioni ai giornalisti del South China Morning Post, Zhang Hong e He Huifeng?

Largo Fochetti dissipa subito i nostri dubbi, perché qualche riga dopo è di scena la celebre Li Yinhe, studiosa dell’Accademia di Scienze Sociali, sociologa e nota femminista: Li, curiosamente, invece di parlare della sua materia si abbandona a considerazioni economiche alla Loretta Napoleoni, dicendo addirittura che la provincia del Guangdong –la  più industrializzata di tutta la Cina, per intenderci – perderebbe il 2% del PIL se l’industria del sesso fosse costretta a chiudere i battenti. In pratica, secondo le parole che Repubblica attribuisce alla sociologa, dei mille miliardi di dollari di PIL che il Guangdong produce ogni anno, 20 miliardi arrivano dalla prostituzione. 

Industria pesante? Qui il vero business è il pelo!


Nelle dichiarazioni rese al Financial Times Li è molto più prudente, e si limita a una metafora tipo “estinguere un incendio con un bicchiere d’acqua”, che curiosamente riporta anche Repubblica, ma come una voce dal web.

Perché usare una complessa metafora cinese quando puoi metterci il pelo?


Lo stesso pezzo del Financial Times, scritto da Demetri Sevastopulo e Julie Zhu, riporta le dichiarazioni di un altro accademico cinese, Wu Jiaxiang, da sempre a favore della legalizzazione della prostituzione: “L’industria del sesso e il denaro sono come gemelli siamesi”, dice Wu sulla versione cinese di Twitter. Le dichiarazioni di Li e Wu, infatti, scaturiscono da un dibattito nato in rete, ma dato che Repubblica non cita la fonte South China Morning Post – un giornale che ha raccolto dichiarazioni sul campo, a Dongguan-, non si vede per quale ragione dovrebbe fare riferimento ai blog dei due studiosi. 


Tralasciamo i dubbi sul “sondaggio riservato che allarma la leadership” citato da Visetti, secondo il quale “6 cinesi su 10 dormirebbero con uno sconosciuto per denaro”, e superiamo anche il personaggio successivo, Li Sipan, un’antropologa che  nelle dichiarazioni rese al New YorkTimes  in un pezzo del 17 febbraio si limita a inquadrare politicamente la campagna antiprostituzione, mentre con Repubblica si lancia in considerazioni molto audaci sulla ‘deportazione’ di migranti, tanto più scomode se pronunciate da un personaggio pubblico. Tralasciamo anche la dichiarazione da brividi attribuita allo storico Zhang Lifan, che secondo Repubblica paragona la campagna dell’ex presidente Hu Jintao in Tibet a “una guerra”; dichiarazione che suona stonata anche in bocca al più strenuo oppositore del Partito, dato che per ragioni storiche radicatissime non troverete neanche un cinese disposto a negare la sovranità di Pechino sulle aree tibetane. Se lo storico Zhang Lifan avesse detto le stesse parole all’AssociatedPress, che pure lo ha intervistato, probabilmente avrebbe ancora più problemi con la giustizia di quelli che lo funestano al momento. Ma con l’AP, che non condivide “una certa idea del mondo” con Repubblica, si è mantenuto molto più sul vago. Speriamo solo che i funzionari della polizia di Pechino non capiscano l'italiano, perché dopo le parole rivolte a Rep. il professor Zhang potrebbe avere altri problemi. 
E sulla protezione delle fonti in Cina sono serissimo. 

Il vero punto forte del reportage di Visetti, quello in cui il corrispondente di Repubblica raggiunge una vetta insuperata di giornalismo investigativo, sono le considerazioni filosofiche di tale Liang Yaohi, presentato come “gestore di venti karaoke”, che affida al quotidiano italiano la sua visione del mondo su sesso, denaro e Cina. 

Sono Liang Yaohi, faccio il pappone ma studio da opinionista:dici che l'Italia è il Paese giusto per me? 

Visetti deve vantare entrature insuperate nel mondo carcerario cinese, visto che – a meno di un caso di omomimia – l’unico Liang Yaohi coinvolto nella vicenda di Dongguan  in realtà si chiama Liang Yaohui ed è un proprietario di alberghi a cinque stelle tra i primi arrestati della campagna, come riporta sempre il SCMP in un altro articolo.
Sicuramente i responsabili di un sistema penitenziario rilassato come quello cinese non avranno avuto alcun problema a garantire a Visetti l’accesso nel carcere in cui Liang è rinchiuso, né a concedere al prigioniero tutte le liberatorie necessarie per rendere dichiarazioni alla stampa straniera.
Per visitare gli unicorni ripassate settimana prossima: ne abbiamo ordinati tre da Fantasilandia.

Niente, il povero Liang se lo sono già bevuto. 


Alla fine di questa rilettura dell’articolo pubblicato da Repubblica spunta una domanda: il pezzo di Visetti è un reportage dalla metropoli di Dongguan o un reportage dalla funzione Google News del suo browser? Perché, normalmente, per reportage s’intende un pezzo in cui ci si sforza di tirare fuori almeno una o due fonti originali, mentre abbiamo visto che persino nel concedere voce all’uomo della strada Visetti va a beccare gli unici due abitanti di Dongguan che hanno già parlato con il SCMP, come dire che c’erano 2 possibilità su oltre 8 milioni. O non sarà invece che quello che Repubblica spaccia come reportage è solo un miscuglio di altri media, un cocktail in cui si mescolano 2 parti di South China Morning Post, 1 di NYT, e alla fine si serve il tutto? Agli agenti con licenze speciali, tipo quella di plagio, i cocktail piacciono agitati, non mescolati. 

Il dubbio è legittimo perché – al di là dei precedenti che sappiamo –solo il mese scorso, in questo articolo sulla chiusura dei campi da lavoro, Visetti riesce a intervistare due prigionieri appena rilasciati, di nome Jiang Chengfen e Guo Qinghua. 

Jiang Chengfen, colta da Repubblica subito dopo il rilascio


Guo Qinghua:dai cessi al campo di lavoro 


Esattamente gli stessi prigionieri intervistati in esclusiva da Malcolm Moore in un articolo pubblicato alcuni giorni prima sul Telegraph


Jiang Chengfen, intervistata qualche giorno prima dal Telegraph

Il Telegraph ruba un altro scoop a Repubblica avvalendosi della Macchina del Tempo


Delle due l’una: o i prigionieri liberati non avevano molta voglia di tornare a casa e c’era una coda di corrispondenti stranieri per intervistarli lunga giorni, oppure Repubblica potrebbe presto ricevere una chiamata dall’ufficio legale del Telegraph.
E dall'ufficio legale del South China Morning Post.
E dall'ufficio legale di chissà quante altre testate straniere.
Tutto questo, ovviamente, se a livello di autorevolezza internazionale la stampa italiana non fosse già l'equivalente di quel cugino un po' deficiente che ti tocca aiutare  con i numeri durante la tombola di Natale.

Adesso, tutti gli affezionati lettori del quotidiano di Largo Fochetti mi si avventeranno addosso perché sono un monomaniaco che ha deciso di distruggere Visetti e – attraverso Visetti – gettare discredito su un’intera testata; un’argomentazione che suona curiosamente simile a quelle che abbiamo ascoltato per tipo vent’anni da parte di un certo leader politico. 

Ma questa non è “la macchina del fango”, per usare un’espressione talmente banale che Monsieur LaPalice si mette a piangere ogni volta che viene pronunciata.

Giampaolo Visetti è solamente il simbolo di un sistema fondato su veti incrociati, ipocrisie e quella che, da calabrese, posso riconoscere senza ombra di dubbio come una forma di omertà. Se Repubblica lascia indisturbato al suo posto e paga profumatamente un soggetto che tradisce da anni la fiducia dei lettori, se il compito di raccontare l’area economicamente più dinamica del mondo dalle colonne di quello che dovrebbe essere il più autorevole quotidiano d’Italia viene affidato a un individuo che non si è fatto alcuno scrupolo nel raccontare la tragedia di Fukushima come se fosse unvideogame giapponese, allora significa che Repubblica ha un grande problema di meritocrazia o di malafede, e il giornale che sbatte in prima pagina gli intoccabili preferisce chiudere entrambi gli occhi davanti ai suoi scandali interni.

Quando Ezio Mauro presenterà “una certa idea di mondo” dal palco del prossimo Festival delle Idee, guardalo bene: se noti un sorrisetto dietro il cipiglio pensoso, forse è perché sta ridendo di te.

Se vedi lo stesso sorrisetto quando in tv Vittorio Zucconi ti spiega i segreti della vita, forse è perché lui ha già svoltato da anni facendo leva su un malinteso senso di superiorità intellettuale nei tuoi confronti.

E magari è lo stesso identico sorriso del prode vicedirettore Massimo Giannini quando si scaglia contro il marciume della politica.

Finché Carlo Rivolta non risorgerà dal mondo delle ombre per prenderli tutti quanti a  pernacchie.



domenica 30 settembre 2012

Ordine dei Giornalisti:Fate il vostro gioco! Scommettete!

Non aggiornavo questo blog da oltre un mese, e nel frattempo sono successe molte cose: il caso dei plagi e delle invenzioni del corrispondente di Repubblica a Pechino Giampaolo Visetti è stato ripreso sul blog di Mazzetta, sul blog di Mantellinisul Foglio, sul Post.it , su Libero, ben due volte sull'Unità, e su numerosi altri media.


Un vero e proprio fuoco di fila, che però non ha affatto scomposto Repubblica: evidentemente il direttore Ezio Mauro non ritiene di dover rispondere ai lettori della qualità dell’informazione stampata sul suo giornale, anche quando quest’informazione è infarcita di balle e copie del lavoro altrui. 


Mentre ormai persino i cinesi ridono dietro al “lavoro” di Giampaolo Visetti (e invece suppongo che i giapponesi non abbiano proprio nulla da ridere in merito), a Largo Fochetti continuano a promuovere seriose campagne anticorruzione ignorando deliberatamente una semplice verità: puoi anche interpretare il paladino e metterti l'elmo di Re Artù, ma se prima non sei capace di fare un po' di pulizia a casa tua, allora sembri solo Pulcinella. 

Sul silenzio di Rep e di Ezio Mauro, pazienza: sono calabrese, so riconoscere l’omertà se ci sbatto contro, anche quando si manifesta nelle alte sfere del più importante quotidiano d'opinione d'Italia invece che nelle strade di qualche paese della Locride.


Ma in tutta questa storia, oltre a Giampaolo Visetti e alle direzioni che promuovono campagne per farci sentire più buoni e più giusti, rischia di esserci un altro impostore, forse ancora più importante degli altri: l’Ordine dei Giornalisti (sì, tuttomaiuscolo).



Venerdì 21 settembre, di ritorno dall’Asia, ho presentato presso l’Ordine dei Giornalisti di Milano un esposto per plagio a carico di Giampaolo Visetti. Si tratta quasi di un esercizio teologico, di quelli che tanto piacevano ai monaci medievali: intendo provare a dimostrare non dico l’efficacia, ma quantomeno l’esistenza di un’istituzione evanescente, della quale non riesco a capire la funzione, e che mi piacerebbe vedere abolita.




 Carta straccia o buono caffé?


Perché delle due, l’una: o l’Ordine dei Giornalisti serve anche a proteggere il lavoro dei suoi iscritti e a difendere la deontologia di un mestiere ormai privo di credibilità; oppure i 100 euri che io e tantissimi altri giornalisti privi di un vero contratto versiamo annualmente non servono a nulla, e potrei risparmiarli per spenderli altrove.

So che l’iter è lungo. Milano dovrà trasmettere l’esposto alla sede di Roma, e poi si dovrebbe aprire un’inchiesta per stabilire quanto accaduto. Però voglio dare una chance a un’istituzione nella quale non ripongo alcuna fiducia: signori colleghi che occupate qualche ruolo all’interno dell’Ordine, stupiteci. Dimostrate che per ottenere una prova della vostra esistenza non è necessario né un mero esercizio di fede, né rivolgersi a qualche medium capace di evocare gli ectoplasmi, e aprite questa benedetta inchiesta. Poi, vedremo quale sarà il risultato.

Non ho la tempra del monaco medievale, ho molti vizi terreni, e dopo un po’ di lavori sul campo in tema temo che mi sia rimasto attaccato anche quello del gioco d’azzardo, quindi voglio scommettere sull’esito di questa vicenda. Io sono convinto che l’Ordine dei Giornalisti non aprirà alcuna indagine a carico di Repubblica. Se mi sbaglio, offrirò un caffè a chiunque si presenti con uno stampato della copia del mio esposto. Potete persino inviarmelo via mail, e poi ci vediamo al bar. Ma se ho ragione, credo che l’unico premio che mi spetta - insieme a chi scommette con me- sarà la possibilità di farsi un’altra risata, dopo gli sghignazzi e i frizzi e i lazzi già destinati a Largo Fochetti. E ci sono poche cose migliori del ridere alle spalle di chi si dimostra completamente privo di senso dell’umorismo.

Per quanto mi riguarda, questo è l’ultimo post che dedico all’affaire Visetti finché non ci saranno notizie sull’esposto.

Tra qualche settimana Engagez Vous si trasformerà in qualcosa di nuovo.

Saluti.
 


 

domenica 26 agosto 2012

Visetti in China: Magical Mystery Tour


Dunque, dove eravamo rimasti?

Ah, sì: nelle scorse settimane ho dimostrato i plagi del corrispondente di Repubblica a Pechino Giampaolo Visetti.

Si tratta di prove inattaccabili, a meno di non considerare valida l’ipotesi dei viaggi nel tempo: basta leggere qui ascoltando in sottofondo questo file:

 

e poi ripetere l’operazione con questo articolo e questo file audio:




per rendersi conto che nelle sue corrispondenze su RSera datate rispettivamente 19 gennaio e 15 marzo Giampaolo Visetti si è limitato a leggere i miei articoli senza cambiare neanche una parola e senza citare la fonte originale, esagerando giusto  un po’ i dati e le fonti, tanto per rendere più sensazionali le vicende raccontate.

Ora, ammetto che l’idea di Visetti che raggiunge le 88 miglia orarie a bordo di una De Lorean e si ritrova nel 1955 è abbastanza divertente, ma il nostro ha dimostrato parecchie volte di non avere bisogno della macchina del tempo per catapultarsi in meravigliosi mondi paralleli.

Basta l’immaginazione.

Perché di una cosa si può essere sicuri: quando a Pechino la vita di ogni giorno diventa troppo prosaica e noiosa, il lettore di Repubblica può sempre contare su una corrispondenza di Giampaolo Visetti che lo proietterà in un Oriente misterioso e pieno di colpi di scena, tra tentativi di colpi di Stato, spie al servizio segreto di Sua Maestà ed enigmatici poliziotti cinesi. 

Pronti?

Allacciate le cinture, inizia il “Visetti in China Magical Mystery Tour”

Tappa 1: di gelsomini fantasma, di borracce rosse, e di tute nere

A un certo punto, per cause ignote, qualche fenomeno subatomico deve aver prodotto una lacerazione nel tessuto spazio-temporale.
La realtà si è spostata di alcuni gradi verso una bizzarra direzione tangente, generando una Pechino contigua a quella ordinaria, dove le cose vanno in maniera leggermente diversa rispetto alla capitale cinese così come la conosciamo.

Le chiavi di questa Pechino alternativa sono nelle mani di un uomo solo, Giampaolo Visetti, che ci guida attraverso vicoli densi d’insidie e grattacieli alla Blade Runner.

Qui, può succedere di tutto. Può capitare che la polizia cinese decida di arrestare un fiore, dopo gli appelli a emulare le “rivolte arabe dei gelsomini” che circolavano sul web cinese lo scorso anno:

Funzionari dei servizi segreti, ai primi di marzo, hanno girato vivai e mercati dei fiori di tutto il Paese per avvertire che il gelsomino doveva sparire dalla circolazione: non potendo arrestare o ‘rieducare’ un fiore, la Cina ha semplicemente deciso di abolirli. La carica persuasiva è stata tale che i gelsomini sono scomparsi davvero e il loro prezzo, al mercato nero dei villaggi di campagna, nello sconcerto generale è crollato. (…).Il fiore fuorilegge prima è marcito, in milioni di esemplari, quindi è stato sradicato da coltivazioni sterminate, infine giaceva come rifiuto di contrabbando nei centri all'ingrosso”

Nella Pechino parallela, la vita dei corrispondenti stranieri è complicata. Capita anche che le forze dell’ordine ti assegnino d’ufficio un poliziotto come assistente.

“Il funzionario dell'ufficio stranieri di Pechino è colto da una sete fastidiosa, mentre cerca di spiegare le nuove misure per la mia sicurezza. Il suo tavolo, nel seminterrato della caserma di quartiere, due piani sotto lo sportello che rilascia i permessi di soggiorno, è sgombro da qualsiasi oggetto di lavoro e invaso da bottiglie d'acqua lasciate a metà. Due agenti, ai suoi fianchi, sorridono e scrutano il muro. Un terzo aziona una telecamera e ci tiene a mostrare lo zelo con cui riprende le ‘lezioni di comportamento agli amici giornalisti occidentali’. (…). Entra nell'ufficio un uomo gonfio, in tuta da ginnastica nera, con gli occhi al pavimento e una borraccia rossa in mano. È lo stesso che domenica scorsa mi ha pedinato per tre ore a Wangfujing, che da giorni si addormenta ubriaco fuori di casa mia. ‘Per un po' di tempo - sorride il funzionario mentre mi congeda - sarà il suo assistente. Se ha problemi, si rivolga a lui’". 

E se poi una volta che lo hai fatto entrare nel tuo appartamento, il poliziotto in borghese con la tuta nera si addormenta ubriaco sul divano? E se ti lascia in casa la borraccia rossa? Tra l’altro, Visetti ci può condurre nel cuore dei segreti della Pechino alternativa, ma le misure di sicurezza della Repubblica Popolare Cinese gli impediscono di entrare in casa quando vuole:

“Non possiedo la chiave della mia casa di Pechino. Gentili sorveglianti, giorno e notte, aprono e chiudono l'ingresso della vecchia dimora cinese dove vivo e lavoro. Controllano tutto, per la mia sicurezza. Se voglio andare a dormire, o incontrare qualcuno, devo prima suonare il loro campanello. Nemmeno l'uscita secondaria dell'ufficio, attraverso telefono e computer, può essere usata liberamente. Le conversazioni sono registrate e una voce cinese spesso suggerisce cautele che non sono in grado di comprendere”.

Vivere nella Pechino contigua deve essere davvero una seccatura.
Io, ad esempio, possiedo le chiavi del mio appartamento pechinese, così come tutti gli stranieri che conosco, tra cui anche numerosi giornalisti che -come me- non si sono mai inoltrati negli insidiosi territori della Pechino parallela.

Ma purtroppo sono privo della chiave magica di Giampaolo Visetti, e quando lo scorso anno la polizia cinese mi ha convocato -come ha fatto con tutti gli altri corrispondenti-, mi hanno accolto in un banale ufficio che poteva essere definito “seminterrato” solo con una certa immaginazione. Soprattutto, alla fine del colloquio, non mi hanno presentato l’uomo incaricato di spiarmi, e questo è un vero peccato: sono sicuro che il poliziotto con la tuta nera e la borraccia rossa è un tipo simpatico, avrebbe avuto molte storie interessanti da raccontare, e una volta che me lo avessero imposto come nuovo assistente saremmo diventati amiconi. Ma forse l’addetto alla mia sicurezza non veste così casual.

Intendiamoci, nella Pechino ordinaria i corrispondenti stranieri sono effettivamente sottoposti a molti controlli, ma dato che la maggior parte di noi non ha alle spalle una formazione nell’antiterrorismo o nella Spectre, non siamo  in grado di capire quante volte al giorno i nostri volti vengano ripresi dalle innumerevoli telecamere della capitale, né di avere una certa dimestichezza con gli altri avanzati mezzi di sorveglianza cinesi. L’impressione è che la Pechino alternativa di Visetti sia più vicina a quella del 1965 che a quella del 2012, dove per identificare e seguire qualcuno bastano le celle telefoniche e le intercettazioni, e più che di spioni in tuta nera e borraccia rossa la polizia si serve d’ingegneri e addetti alle telecomunicazioni.

Inoltre, nella versione ordinaria della capitale cinese, non si è mai assistito alla caccia ai fiori scatenata dagli agenti segreti della Pechino parallela: nel periodo degli appelli web alla protesta i gelsomini si trovavano abbastanza facilmente, come riferiscono anche qui.

In definitiva, la versione di Pechino della realtà in cui vivo non riesce a produrre  quelle storie surreali e lievemente lisergiche che caratterizzano la Pechino alternativa di Visetti. Ho le chiavi di casa mia ma -non essendo stato risucchiato nel continuum spazio-temporale del corrispondente di Repubblica- nei miei articoli non posso raccontare queste mirabolanti vicende.

D’altronde, non sono mai stato neanche al binario 9 ¾ della stazione di King’s Cross per prendere il treno diretto a Hogwarts, né ho mai trovato la strada che porta a casa di Bilbo Baggins a Hobbiville, nella Contea.

E tutto questo mi rende incredibilmente triste.

Tappa 2: di colpi di Stato, di spie inglesi, e di fuggitivi ciechi

Ma quando nella Pechino ordinaria si verificano eventi fuori dal comune, l’asse della realtà della Pechino alternativa si sposta ancora di più, piombando in territori straordinari, sconosciuti. E dannatamente rischiosi.

Dal febbraio di quest’anno la Cina è intrappolata in due crisi parallele che stanno scuotendo le fondamenta del Partito. Da un lato, il caso di Bo Xilai, l’ex leader di Chongqing destituito per lo scandalo che ha colpito la moglie Gu Kailai, giudicata colpevole dell’assassinio dell’uomo d’affari britannico Neil Heywood, col quale intratteneva rapporti economici e –forse- una relazione sentimentale.

Dall’altro, l’incredibile fuga di Chen Guangcheng, un attivista politico cieco dall’infanzia, che riesce a scappare dagli arresti domiciliari, si rifugia presso l’Ambasciata Usa in Cina e –dopo un braccio di ferro diplomatico tra Pechino e Washington- ottiene finalmente il permesso di recarsi negli Stati Uniti.

Si tratta di due vicende enormi, con aspetti quasi epici, molto difficili da gestire per i giornalisti che si muovono nella Cina ordinaria e devono quantomeno provare a verificare quello che succede, tra i silenzi e i depistaggi del governo.

Ma nella Pechino alternativa…Beh...Può accadere veramente di tutto.

Prendiamo questo, ad esempio, tratto da Repubblica del 21 agosto: “L' ex segretario di Chongqing è scomparso da aprile, ma resta membro del Parlamento e del Politburo e contro di lui c' è solo l' inchiesta per «gravi violazioni disciplinari». Nel processo di Hefei contro la moglie, il suo nome non è mai comparso. (…) Influenti personalità cinesi, presto censurate, sollevano dubbi inquietanti sulla ricostruzione dei giudici, per i quali l' ex spia dei servizi di Sua Maestà sarebbe stata avvelenata una volta ubriaca di whisky”.   

Neil Heywood era una spia dei Servizi britannici? E’ una domanda sulla quale centinaia di giornalisti hanno sbattuto la testa per mesi, tra depistaggi, false ipotesi e smentite. Ma nel favoloso mondo di Giampaolo non c’è alcun dubbio: se qualche giornale straniero riporta la voce non confermata che per un periodo della sua vita Heywood ha fatto il rivenditore della Aston Martin e il consulente per la Hekluyt -una società fondata da ex membri dell’MI6- allora Heywood era sicuramente al Servizio Segreto di Sua Maestà.

D’altronde, decine di film ci hanno insegnato che James Bond va in giro col suo vero nome, e questo elemento dovrebbe chiudere definitivamente la questione. Forse qualche fonte della Pechino parallela una sera ha incontrato Neil Heywood al bar, e stava bevendo un martini agitato, non mescolato.

Tralasciamo anche l’altra lieve imprecisione contenuta nell’articolo, visto che -a differenza di quanto scrive Visetti- Bo Xilai- è stato effettivamente sospeso dal Politburo ad aprile. Quello che non si può davvero ignorare, invece, è il sensazionale scoop diffuso da Repubblica, secondo il quale Bo Xilai sarebbe sotto accusa nientemeno che per un tentativo di golpe


"Il suo presunto amante più famoso, Bo Xilai, è sotto accusa per aver tentato un colpo di Stato e aver cercato di uccidere il suo braccio destro, l'ex capo della polizia Wang Lijun, dopo che questi gli aveva confidato che la moglie Gu Kailai aveva avvelenato il suo amante, l'uomo d'affari inglese Neil Heywood".

Mentre nella Cina di tutti i giorni Bo Xilai è stato sospeso per "gravi violazioni disciplinari", e il Partito comunista cinese mantiene il più stretto riserbo sui contenuti dell'accusa, nella Pechino alternativa in cui vive Visetti le voci che circolano da mesi sono state formalizzate, sono realtà, e Bo Xilai era pronto a marciare su Piazza Tian An Men alla testa di una colonna di carri armati. 


Perché la Pechino parallela di Giampaolo Visetti è una megalopoli piena di minacce, dove dietro ogni angolo si nascondono intrighi alla Jason Bourne, come dimostrano gli avvenimenti delle convulse giornate dopo la rocambolesca fuga di Chen Guangcheng:

"Sembra che potrò partire, sono felice". La voce di Chen Guangcheng riemerge dal nulla in cui è stata confinata tra le mura dell'ospedale di Chaoyang, dopo che tre giorni fa il dissidente ha lasciato l'ambasciata Usa a Pechino. Al telefono cellulare, quando è sera inoltrata, riesce a pronunciare poche parole. La linea è disturbata e continua stranamente a cadere. (…) Pensa che ci sia qualcuno che ancora può fare qualcosa per lei? ‘Spero che il presidente Obama da domani non si giri dall'altra parte e che mi protegga. Ma ho fiducia anche nel premier Wen Jiabao: capisce il rischio di un partito che si allontana dai propri ideali. La mia salvezza resta appesa all'affetto e al sostegno delle persone buone di tutto il mondo’".

Nella tarda serata di cui riferisce Repubblica, il numero di cellulare fornito a Chen dall’Ambasciata americana era ormai diventato di dominio quasi pubblico tra i corrispondenti stranieri che si aggiravano attorno all’ospedale di Chaoyang –anche se stranamente Visetti non s’è visto-, ma dopo che nell’arco di un’ora Newsweek, CNN e altri due media stranieri riescono a ottenere la linea, il telefono risulterà irraggiungibile fino alla fine della vicenda, nonostante le decine e decine di chiamate.

Probabilmente nella Pechino parallela in cui vive Giampaolo Visetti si riesce sempre a telefonare ai quiz in tv, gli attivisti che temono per la loro vita si rivolgono direttamente al Presidente degli Stati Uniti infrangendo tutte le etichette e rischiando di aggravare una crisi diplomatica, e si indovina anche quanti fagioli ci sono nel contenitore di Raffaella Carrà al primo colpo. O forse, visto che ormai sono pappa e ciccia, il poliziotto con la tuta nera e la borraccia rossa ha fornito al corrispondente di Repubblica un numero supersegreto.

Per ora il nostro Magical Mystery Tour è finito. Ormai sapete cosa fare.

Chi vuole andare nel fantastico mondo di Narnia, si chiude in un armadio.

Per uscire da Matrix bisogna inghiottire la pillola rossa.

Se incontrate il Bianconiglio, seguitelo nella sua buca e arriverete nel Paese delle Meraviglie.

Ma se volete entrare nella Pechino parallela, questa favolosa metropoli intensa e seducente, dove le spie inglesi guidano sempre un’Aston Martin e agli stranieri vengono negate le chiavi di casa, è sufficiente un euro.

Basta comprare Repubblica.

Ancora qualche domanda a Repubblica

Sappiamo già cosa succede ai giornalisti americani sorpresi a copiare: Fareed Zakaria è stato sospeso per un mese da TIME e CNN, e al termine di un’inchiesta interna che ha accertato che si era trattato di un episodio isolato la stella del giornalismo Usa, uno degli opinionisti più influenti del mondo, è stato reintegrato.

Sembra però che non solo Giampaolo Visetti, ma tutta la redazione di Largo Fochetti, ormai, sia stata risucchiata in un altro continuum spazio-temporale, dove cose come le regole, la verifica delle fonti e dei fatti, un residuo briciolo di rispetto per i lettori e per il lavoro altrui, semplicemente, non esistono.

La rappresentazione della realtà si è mangiata la realtà.

Da quando è stato messo in piedi, tre settimane fa, questo blog ha ricevuto migliaia di contatti. Ho ricevuto anche diverse mail, tra cui lettere di gente che mi dice di rassegnarmi, perché tanto non prenderò mai il posto di Giampaolo Visetti. Cosa sicuramente vera, ma il punto, quello che mi sta a cuore davvero, è che spero di non piegarmi mai al metodo di lavoro impiegato da Visetti. Se scrivete lettere del genere, significa che cose come l’onestà intellettuale vi sono completamente incomprensibili, e mostrate lo stesso atteggiamento che avrebbe la mia tartaruga di terra davanti a un rebus della Settimana Enigmistica.

“Dietro” questo blog non c’è nessuno, ci sono solo io, con la mia faccia e la mia firma. E’vero che collaboro anche con testate come Panorama, collocate nello schieramento opposto rispetto a quello di Repubblica, ma francamente non me ne frega una mazza di niente: questo non è un attacco a Repubblica in quanto Repubblica; questo è un attacco a Repubblica per il comportamento tenuto in questi mesi, per il totale sprezzo delle regole, per la convinzione di essere sempre e comunque nel giusto, per l’arroganza nel denunciare gli errori degli altri e l’ostinata omertà nel nascondere i propri.  

Chi compra Repubblica ha il diritto a leggere corrispondenze precise e accurate, e non articoli in cui il sindaco di una città giapponese si trasforma magicamente in un tecnico-eroe.

Chi deve vigilare sull’operato del corrispondente di Repubblica in Asia è colpevole di gravi mancanze.

Scrivete a Ezio Mauro, cercatelo sui social network, chiedete le stesse misure applicate negli Usa a Fareed Zakaria.

E’ legittimo ambire alla serietà.