Sapevamo già che può
trasformare il tranquillo sindaco di una città devastata dal terremoto in un
superingegnere kamikaze.
Sapevamo già che è in grado
di leggere
articoli scritti da altri e spacciarli per suoi.
Lo avevamo lasciato mentre s’inventava
olocausti nucleari capaci di valergli il
prestigioso premio internazionale “Muro della vergogna- Fukushima”
Ma adesso Giampaolo Visetti è
tornato, e ha un’arma nuova di zecca: la licenza di plagio estesa a qualsiasi
media straniero.
Ora, prima di tornare a
scrivere su queste pagine a distanza di quasi due anni mi sono posto un
problema cruciale: ho davvero qualcosa di nuovo da dire, o questo “Licenza di
plagio” sembrerà solamente uno stanco tentativo di sfruttare il successo di
pubblico e critica degli altri post? Come farò a rendere il sequel all’altezza
dei kolossal precedenti?
La risposta me l’hanno
fornita il protagonista indiscusso e il suo desk, che nel segno
dell’impunità più totale riescono a inventare metodi sempre nuovi e creativi
per massacrare quel poco che resta della fiducia nel mestiere di
giornalista: sicuramente prima o poi salteranno fuori foto compromettenti, tipo
immagini delle grandi firme di Repubblica impegnate a lanciare nani contro un
bersaglio a forma di deontologia mentre Eugenio Scalfari intervista Gesù e scrive le risposte al posto suo, ma per ora dobbiamo accontentarci di
quanto già pubblicato.
E vi assicuro che siamo già a
livelli altissimi.
Il pezzo da analizzare,
stavolta, è uno
spettacolare reportage su Dongguan, la capitale cinese del sesso,
pubblicato su Repubblica martedì 25 febbraio. (Il link rimanda a Dagospia
perché non tutti sono abbonati a Rep.)
Nell’articolo, Visetti si
aggira per una Dongguan semideserta, dove la nuova campagna anti-prostituzione
scatenata dal governo centrale di Pechino ha imposto a saune e bordelli uno
spietato coprifuoco. Il primo personaggio in cui si imbatte è un certo “Ou
Yunqui”, presentato come “gestore del più elegante centro benessere di
Dongguan”.
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Ciao, organizzo cene eleganti |
Se tralasciamo che “Yunqui”
sembra più un nome spagnoleggiante che cinese, ciò che lascia perplessi è
l’audacia di un “gestore di centro benessere” che si lascia intervistare con
nome e cognome mentre per le strade della sua città la polizia sta arrestando i
“gestori di centri benessere”. A una ricerca più approfondita, però, salta
fuori che tale “Ou Yunqi” (questo sì un nome cinese) è
stato intervistato dal South China Morning Post – il più importante
quotidiano di Hong Kong – in data 20 febbraio. Questo Ou Yunqi, però, si rivela
il general manager della Dongguan Qile Shangcheng, una ditta che produce
“giocattoli per adulti, biancheria intima e preservativi”. Si tratta della
stessa persona? Fa il magnaccia dietro la palese copertura di gestore sala
benessere o è semplicemente un manager? Ha una doppia vita?
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Ciao, in realtà faccio il manager in una fabbrica di vibratori |
Ma non solo i lavoratori dell’industria
del sesso, anche quelli del settore immobiliare subiscono la campagna
moralizzatrice: prendiamo ad esempio Ye Weijie, che a Repubblica dice di essere
un costruttore e racconta di dover riconvertire il suo business.
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Mi chiamo Ye Weijie e sono uno squalo dell'immobiliare |
Vuoi vedere
che si tratta dello stesso Ye Weijie che, nell’articolo del SCMP di cui sopra, si
presenta invece come un semplice agente immobiliare?
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Nah,volevo solo impressionarti: faccio l'agente Tempocasa |
E soprattutto: com’è
possibile che – in barba a ogni legge probabilistica – in una città di oltre 8
milioni di abitanti Giampaolo Visetti sia andato a intervistare proprio le
stesse due persone che hanno rilasciato dichiarazioni ai giornalisti del South
China Morning Post, Zhang Hong e He Huifeng?
Largo Fochetti dissipa subito
i nostri dubbi, perché qualche riga dopo è di scena la celebre Li Yinhe,
studiosa dell’Accademia di Scienze Sociali, sociologa e nota femminista: Li,
curiosamente, invece di parlare della sua materia si abbandona a considerazioni
economiche alla Loretta Napoleoni, dicendo addirittura che la provincia del Guangdong
–la più industrializzata di tutta la
Cina, per intenderci – perderebbe il 2% del PIL se l’industria del sesso fosse
costretta a chiudere i battenti. In pratica, secondo le parole che Repubblica
attribuisce alla sociologa, dei mille miliardi di dollari di PIL che il
Guangdong produce ogni anno, 20 miliardi arrivano dalla prostituzione.
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Industria pesante? Qui il vero business è il pelo! |
Nelle dichiarazioni rese al Financial Times Li è molto più prudente, e si limita a
una metafora tipo “estinguere un incendio con un bicchiere d’acqua”, che
curiosamente riporta anche Repubblica, ma come una voce dal web.
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Perché usare una complessa metafora cinese quando puoi metterci il pelo? |
Lo stesso pezzo del Financial
Times, scritto da Demetri Sevastopulo e Julie Zhu, riporta le dichiarazioni di un
altro accademico cinese, Wu Jiaxiang, da sempre a favore della legalizzazione
della prostituzione: “L’industria del sesso e il denaro sono come gemelli
siamesi”, dice Wu sulla versione cinese di Twitter. Le dichiarazioni di Li e
Wu, infatti, scaturiscono da un dibattito nato in rete, ma dato che Repubblica
non cita la fonte South China Morning Post – un giornale che ha raccolto
dichiarazioni sul campo, a Dongguan-, non si vede per quale ragione dovrebbe
fare riferimento ai blog dei due studiosi.
Tralasciamo i dubbi sul
“sondaggio riservato che allarma la leadership” citato da Visetti, secondo il
quale “6 cinesi su 10 dormirebbero con uno sconosciuto per denaro”, e superiamo
anche il personaggio successivo, Li Sipan, un’antropologa che nelle dichiarazioni rese al New YorkTimes in un pezzo del 17 febbraio si
limita a inquadrare politicamente la campagna antiprostituzione, mentre con
Repubblica si lancia in considerazioni molto audaci sulla ‘deportazione’ di
migranti, tanto più scomode se pronunciate da un personaggio pubblico. Tralasciamo
anche la dichiarazione da brividi attribuita allo storico Zhang Lifan, che
secondo Repubblica paragona la campagna dell’ex presidente Hu Jintao in Tibet a
“una guerra”; dichiarazione che suona stonata anche in bocca al più strenuo
oppositore del Partito, dato che per ragioni storiche radicatissime non
troverete neanche un cinese disposto a negare la sovranità di Pechino sulle
aree tibetane. Se lo storico Zhang Lifan avesse detto le stesse parole all’AssociatedPress, che pure lo ha intervistato, probabilmente avrebbe ancora più problemi
con la giustizia di quelli che lo funestano al momento. Ma con l’AP, che non
condivide “una certa idea del mondo” con Repubblica, si è mantenuto molto più
sul vago. Speriamo solo che i funzionari della polizia di Pechino non capiscano l'italiano, perché dopo le parole rivolte a Rep. il professor Zhang potrebbe avere altri problemi.
E sulla protezione delle fonti in Cina sono serissimo.
Il vero punto forte del
reportage di Visetti, quello in cui il corrispondente di Repubblica raggiunge
una vetta insuperata di giornalismo investigativo, sono le considerazioni
filosofiche di tale Liang Yaohi, presentato come “gestore di venti karaoke”,
che affida al quotidiano italiano la sua visione del mondo su sesso, denaro e
Cina.
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Sono Liang Yaohi, faccio il pappone ma studio da opinionista:dici che l'Italia è il Paese giusto per me? |
Visetti deve vantare entrature insuperate nel mondo carcerario cinese,
visto che – a meno di un caso di omomimia – l’unico Liang Yaohi
coinvolto nella vicenda di Dongguan in realtà si chiama Liang Yaohui ed è un proprietario di alberghi a cinque
stelle tra i primi arrestati della campagna, come
riporta sempre il SCMP in un altro articolo.
Sicuramente i responsabili di
un sistema penitenziario rilassato come quello cinese non avranno avuto alcun
problema a garantire a Visetti l’accesso nel carcere in cui Liang è rinchiuso,
né a concedere al prigioniero tutte le liberatorie necessarie per rendere
dichiarazioni alla stampa straniera.
Per visitare gli unicorni
ripassate settimana prossima: ne abbiamo ordinati tre da Fantasilandia.
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Niente, il povero Liang se lo sono già bevuto. |
Alla fine di questa rilettura
dell’articolo pubblicato da Repubblica spunta una domanda: il pezzo di Visetti
è un reportage dalla metropoli di Dongguan o un reportage dalla funzione Google
News del suo browser? Perché, normalmente, per reportage s’intende un pezzo in
cui ci si sforza di tirare fuori almeno una o due fonti originali, mentre
abbiamo visto che persino nel concedere voce all’uomo della strada Visetti va a
beccare gli unici due abitanti di Dongguan che hanno già parlato con il SCMP,
come dire che c’erano 2 possibilità su oltre 8 milioni. O non sarà invece che
quello che Repubblica spaccia come reportage è solo un miscuglio di altri
media, un cocktail in cui si mescolano 2 parti di South China Morning Post, 1
di NYT, e alla fine si serve il tutto? Agli agenti con licenze speciali, tipo
quella di plagio, i cocktail piacciono agitati, non mescolati.
Il dubbio è legittimo perché
– al di là dei precedenti che sappiamo –solo il mese scorso, in
questo articolo sulla chiusura dei campi da lavoro, Visetti riesce a intervistare
due prigionieri appena rilasciati, di nome Jiang Chengfen e Guo Qinghua.
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Jiang Chengfen, colta da Repubblica subito dopo il rilascio |
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Guo Qinghua:dai cessi al campo di lavoro |
Esattamente gli stessi prigionieri intervistati in esclusiva da Malcolm Moore
in un articolo
pubblicato alcuni giorni prima sul Telegraph.
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Jiang Chengfen, intervistata qualche giorno prima dal Telegraph |
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Il Telegraph ruba un altro scoop a Repubblica avvalendosi della Macchina del Tempo |
Delle due l’una: o i
prigionieri liberati non avevano molta voglia di tornare a casa e c’era una
coda di corrispondenti stranieri per intervistarli lunga giorni, oppure Repubblica potrebbe
presto ricevere una chiamata dall’ufficio legale del Telegraph.
E dall'ufficio legale del South China Morning Post.
E dall'ufficio legale di chissà quante altre
testate straniere.
Tutto questo, ovviamente, se a livello di autorevolezza internazionale la stampa italiana non fosse già l'equivalente di quel cugino un po' deficiente che ti tocca aiutare con i numeri durante la tombola di Natale.
Adesso, tutti gli affezionati
lettori del quotidiano di Largo Fochetti mi si avventeranno addosso perché sono
un monomaniaco che ha deciso di distruggere Visetti e – attraverso Visetti –
gettare discredito su un’intera testata; un’argomentazione che suona
curiosamente simile a quelle che abbiamo ascoltato per tipo vent’anni da parte
di un certo leader politico.
Ma questa non è “la macchina
del fango”, per usare un’espressione talmente banale che Monsieur LaPalice si
mette a piangere ogni volta che viene pronunciata.
Giampaolo Visetti è solamente
il simbolo di un sistema fondato su veti incrociati, ipocrisie e quella che, da
calabrese, posso riconoscere senza ombra di dubbio come una forma di omertà. Se
Repubblica lascia indisturbato al suo posto e paga profumatamente un soggetto che tradisce da anni la
fiducia dei lettori, se il compito di raccontare l’area economicamente più
dinamica del mondo dalle colonne di quello che dovrebbe essere il più
autorevole quotidiano d’Italia viene affidato a un individuo che non si è fatto
alcuno scrupolo nel raccontare la tragedia di Fukushima come se fosse unvideogame giapponese, allora significa che Repubblica ha un grande problema di
meritocrazia o di malafede, e il giornale che sbatte in prima pagina gli
intoccabili preferisce chiudere entrambi gli occhi davanti ai suoi scandali
interni.
Quando Ezio Mauro presenterà “una
certa idea di mondo” dal palco del prossimo Festival delle Idee, guardalo bene: se noti un sorrisetto dietro il cipiglio pensoso, forse è perché sta
ridendo di te.
Se vedi lo stesso
sorrisetto quando in tv Vittorio Zucconi ti spiega i segreti della vita, forse
è perché lui ha già svoltato da anni facendo leva su un malinteso senso di superiorità intellettuale nei tuoi confronti.
E magari è lo stesso identico
sorriso del prode vicedirettore Massimo Giannini quando si scaglia contro il
marciume della politica.
Finché Carlo Rivolta non
risorgerà dal mondo delle ombre per prenderli tutti quanti a pernacchie.