domenica 19 agosto 2012

I bulletti di Largo Fochetti


E così Fareed Zakaria, sospeso per plagio da CNN e TIME, tornerà al lavoro tra la fine di agosto e i primi di settembre: le due testate hanno condotto un’inchiesta interna accertando che la copia integrale di dieci righe da un articolo del New Yorker era “un fatto isolato”. Dopo l’ammissione di colpa e le scuse della star del giornalismo americano -e dopo la giusta sanzione applicata dalle testate per cui lavora- si può riguadagnare la fiducia di lettori e spettatori.

Un capolavoro di trasparenza: un comportamento che non potrebbe essere più distante da quello che sta mantenendo Repubblica relativamente al caso di Giampaolo Visetti, corrispondente da Pechino.

Nel post precedente, qui, trovate un resoconto dei plagi di Visetti e anche i link ad alcune pagine che testimoniano i falsi di cui si è macchiato nelle corrispondenze durante il terremoto in Giappone nel 2011.

Ma il lavoro del corrispondente di Repubblica a Pechino non è caratterizzato solo dai due furti documentati sopra e dai bidoni fabbricati ad arte dopo la tragedia di Fukushima, vicende già da sole sufficienti a garantire a Visetti qualcosa di ben più incisivo della “cura Zakaria”.

Di seguito proverò a raccontare altre imprecisioni, inesattezze ed esagerazioni.

Si tratta di un esercizio di fiducia, perché –a differenza degli articoli rubati, come documentato sopra- non ho prove concrete per dimostrare quello che scrivo: solo la mia memoria, un po’ di buonsenso e alcuni articoli apparsi sulla stampa estera.

Deciderà il lettore se fidarsi di me o di Giampaolo Visetti. Dopo questa rassegna, porrò nuove domande alla direzione di Repubblica.

La grande truffa delle sedie vuote

Alla fine del 2010, mentre a Oslo si sta per celebrare la cerimonia della consegna del Premio Nobel per la Pace, i comunicati governativi e la stampa ufficiale di Pechino sparano cannonate contro la Norvegia: l’onorificenza va a Liu Xiaobo, dissidente cinese, condannato a 14 anni di carcere con l’accusa di “incitazione alla sovversione dello Stato”. Per il governo cinese Liu è un criminale, al quale non verrà concesso alcun permesso per ritirare il premio.

Ecco il link al pezzo di Visetti del 12 dicembre 2010. L’articolo è incentrato sulla “rivolta delle sedie vuote”, una manifestazione di protesta che i cinesi avrebbero inscenato per solidarietà a Liu. Eccone un brano: 

Centinaia di sedie vuote, vecchie, rotte e davvero quasi tutte unte come quelle che si offrono in cella, sono apparse da ieri notte fuori dalle case, allineate lungo le strade come un esercito silenzioso e disarmato. Dopo qualche ora di stupore anche la polizia ha compreso di sfilare davanti alle sedie vuote di un dissenso cinese che credeva defunto, costretto a nascondersi come un sorcio zoppo, o chiuso in gabbia. Lńesposizione prodigiosa era ispirata dalla sedia vuota che venerdì ha ritirato il Nobel inconsegnabile di Oslo”.  

Visetti prosegue raccontando come a Pechino, Shanghai, Hong Kong, Guangzhou e Shenzhen, la polizia avrebbe proceduto ad “arrestare le sedie vuote”.

Peccato che nulla di tutto ciò sia MAI accaduto.

Visetti ha trasformato una protesta virtuale – le immagini di sedie vuote postate sui microblog cinesi da qualche centinaio di simpatizzanti di Liu- in una protesta di massa, con i cittadini che espongono fisicamente le sedie vuote fuori dalle loro case, scatenando una reazione ridicola e paranoica da parte delle forze dell’ordine.

Il cinese medio non ha idea di chi sia Liu Xiaobo: la censura ha colpito la sua figura in maniera così precisa e capillare da renderlo una non-persona, e se provate a dire a un cinese di media istruzione che nel 2010 la Cina ha vinto un premio Nobel, questi si mostrerà lieto, non sapendo che l’onorificenza è stata un vero e proprio schiaffo in faccia al governo.

Uno schiaffo forte, come quello che riceve la credibilità di Repubblica dopo la pubblicazione di questo articolo.


Lo strano caso del Dr Udagawa e Mr. Bo

Nella primavera di quest’anno Pechino trema sotto i colpi dello scandalo Bo Xilai, un intrigo iniziato alla fine di febbraio con la fuga di un superpoliziotto all’interno di un consolato americano, e culminata nell’accusa di omicidio a carico di Gu Kailai, moglie dell’ex stella nascente del Partito comunista cinese Bo Xilai.

Tra i numerosi articoli dedicati all’argomento, Visetti scrive questo.
Tralascio il fatto che Visetti attribuisca a Bo la carica di ex sindaco di Chongqing, quando in realtà si tratta dell’ex segretario del Partito, carica differente e molto più importante: mica si può chiedere la precisione su questi particolari,vero?

In questo articolo Visetti si ricorda di citare la fonte: si tratta di Keisuke Udagawa, commentatore politico giapponese, che avrebbe incontrato Bo in un ristorante di Pechino, e al quale l’uomo politico –già sospeso da tutte le cariche che occupava “per gravi irregolarità disciplinari- affida una confessione politica, sostenendo di essere stato incastrato per le sue campagne anticrimine e di nutrire il rimpianto di non aver divorziato dalla moglie, utilizzata dai suoi avversari per rovinarlo.

Dato che Bo è scomparso dalla circolazione da mesi si tratta di un vero scoop, pubblicato solamente dal quotidiano nipponico Yukan Fuji, e non citare la fonte sarebbe sconveniente, anche per chi lo fa abitualmente.

Ma Giampaolo Visetti è l’unico che riprende la notizia senza dubitarne neanche un pochino: in altre parole, il corrispondente a Pechino di uno dei più importanti quotidiani italiani, che racconta la Cina pubblicando libri per la casa editrice Feltrinelli, crede fermamente che le autorità cinesi abbiano consentito a un alto funzionario sospeso e sottoposto agli arresti, protagonista del più clamoroso scandalo politico degli ultimi venti anni, di incontrare un giornalista giapponese –potenza tradizionalmente amica della Cina, com’è noto- permettendogli anche di lavare in pubblico i panni sporchi del regime, in cambio di imprecisati scambi di informazioni tra servizi segreti non meglio identificati.

Vorrei ricordare che la Cina è lo stesso Paese nel quale non è mai stata fatta chiarezza sull’affaire Lin Biao, l’ex avversario politico di Mao, che forse –o forse no- è morto in un misterioso incidente aereo. E questa è una vicenda avvenuta nel 1971, oltre quarant’anni fa.

Lo scoop del quotidiano giapponese viene messo in dubbio da media autorevoli come Telegraph e Foreign Policy, ma per Repubblica va tutto bene: i leader sottoposti a purghe, in Cina, li incontri tranquillamente al bar. E tra un bicchiere e l’altro ti parlano della loro vita privata.

Un ultimo inciso: nello stesso articolo, Visetti sostiene che Zhou Yongkang, a capo degli apparati di sicurezza, sia stato “destituito silenziosamente” per la vicinanza a Bo Xilai. Un’altra lieve imprecisione, visto che Zhou occupa ancora ufficialmente il suo ruolo e nessuno –tranne forse non più di 200 funzionari in tutta la Cina- sia in grado di stimare con certezza il suo attuale peso politico.

Ma le potenti fonti di Repubblica, lo abbiamo visto, arrivano dove nessun altro oserebbe spingersi.

Repubblica: ora di chiedere scusa?

Potrei riferire di altre gigantesche esagerazioni di Visetti, novello Barone di Munchausen in Oriente, ma questo post è già troppo lungo. Ne scriverò uno successivo, magari a partire dall’”Uomo con la tuta nera e la borraccia rossa”, un poliziotto che secondo Visetti lo avrebbe seguito per settimane, e che a Pechino è diventato una specie di barzelletta nel giro dei corrispondenti, anche stranieri.

Adesso voglio rivolgere altre domande alla direzione di Repubblica: queste pagine, in poco più di una settimana, hanno ricevuto oltre 1000 visite, e su Twitter in molti hanno esplicitamente chiesto a Ezio Mauro e a Repubblica di rispondere dei plagi e delle balle pubblicate dal corrispondente a Pechino.

Ma Ezio Mauro tace, come se la vicenda non minasse gravemente la credibilità di un importante quotidiano: evidentemente dalle parti di Largo Fochetti sono in preda a una grave forma di “Sindrome di Fonzie”, il morbo che ti fa emettere solo borbotti incomprensibili nel momento in cui dovresti semplicemente dire “ho sbagliato”.

Ribadisco: Zakaria, stella del giornalismo americano, sospeso per un mese per un plagio di 10 righe. Visetti, tranquillamente al lavoro dopo il furto di almeno due articoli e una quantità imprecisata di inesattezze e storie esagerate ad arte.

Repubblica sta facendo una pessima figura: nel cortile dei media italiani, somiglia sempre di più al ragazzino grosso e viziato che ti ruba il pallone, sicuro di farla franca perché viene da una famiglia importante. Ma i bulli di Largo Fochetti non si accontentano del furto: appena girato l’angolo si ripuliscono della polvere della baruffa e continuano ad apparire pensosi, riflessivi, inattaccabili nella loro pretesa superiorità morale e deontologica.

Ecco allora l’invito a chi leggerà queste righe: fate sentire la vostra voce. 
Fate circolare queste pagine. 
Chiedete ad Ezio Mauro e a Repubblica di esprimersi sulle gravi scorrettezze commesse dal suo giornalista. 
Se siete lettori di Repubblica, allora probabilmente avete a cuore una certa idea di giornalismo, e avete quindi il diritto di acquistare un giornale onesto, che non si renda complice di questi furti e che non protegga i suoi errori con l'omertà.

Repubblica vi deve una risposta.

Quella che deve a me, in quanto vittima di plagio, la potrà fornire a settembre attraverso l’Ordine dei Giornalisti, dopo che avrò terminato un esposto.

sabato 11 agosto 2012

L'affaire Zakaria, il caso Visetti

Cosa succederebbe in Italia a un giornalista pescato a copiare com’è successo a Fareed Zakaria? Me lo sono chiesto più volte nelle ultime ore, soprattutto in merito a una vicenda personale che va avanti da mesi.


Il Caso Fareed Zakaria

Riassumo velocemente il caso (l’ottimo Alessandro Aresu ne fornisce una versione più approfondita qui): Zakaria, stella del giornalismo internazionale che conduce un programma su CNN e occupa il ruolo di editor-at-large per TIME, è stato sospeso da entrambe le testate per plagio. In un commento per l’edizione del 20 agosto di TIME sul tema del controllo sulla vendita di armi negli Usa, il giornalista ha copiato quasi integralmente un pezzo della storica Jill Lepore pubblicato sul New Yorker. Andate a confrontare nel pezzo di Aresu su “Lo Spazio della Politica”: si tratta di neanche dieci righe, che tuttavia sono state sufficienti per montare un caso, e a nulla sono valse le scuse rivolte da Zakaria a Lepore e ai lettori. Negli Usa le fonti si citano, punto e basta, e chi si rende colpevole di un plagio –fosse anche una grande firma- poi deve subirne le conseguenze.


L’affaire Visetti

Perdonatemi se nel riassumere la faccenda personale sarò costretto a scadere nel provincialismo più becero: qui non parliamo di Zakaria e del New Yorker, ma penso che questa vicenda possa servire a interrogarsi sulla direzione intrapresa da  giornalismo italiano, sulla sua perdita di autorevolezza, e su tutte quelle altre faccende che chi lavora nei media ben conosce, ma che dovrebbero riguardare da vicino anche chiunque ci tiene all’informazione.



Il 17 gennaio scorso scrivo per AgiChina24.it –il portale di informazione di AGI sulla Cina per il quale lavoro da Pechino- un articolo sull’aumento dei crimini dei colletti bianchi che trovate qui. La notizia dell’aumento di questi reati è stata pubblicata sul Legal Daily, un quotidiano cinese. 

Il 19 gennaio mattina, come ogni giorno, faccio la mia consueta rassegna stampa, tra cui rientra anche la versione per iPad di Repubblica, RSera, un prodotto multimediale del quotidiano di Largo Fochetti che diffonde anche contenuti audio a cura dei corrispondenti di Repubblica in giro per il mondo. Scopro contento che la notizia ha attirato l’attenzione del corrispondente di Rep, Giampaolo Visetti, ma quando inizio ad ascoltare l’audio la contentezza per essere stato ripreso da un grande quotidiano si trasforma prima in stupore, poi in rabbia: Visetti sta leggendo integralmente il mio articolo senza citare la fonte, limitandosi ad esagerare le statistiche per fornire un quadro più allarmante del fenomeno e a trasformare una fonte, un avvocato cinese, nel procuratore capo di Pechino, suppongo per rendere più sensazionale l’accaduto. Potete ascoltare qui la corrispondenza di Giampaolo Visetti, visto che il link su RSera non è più raggiungibile. 




Chiamo la mia redazione per informarmi se il pezzo sia stato passato sulla rete: se così fosse, Visetti avrebbe tutto il diritto di riprenderlo integralmente, ma l’articolo è stato pubblicato esclusivamente sul portale, e reca in coda una scritta molto visibile di “Riproduzione Riservata”.

Il plagio si ripete qualche mese dopo: il 13 marzo realizzo un articolo sul riciclaggio di capitali sporchi a Macao, basandomi sul sito CasinoLeaks. Trovate il pezzo qui, e vi invito a leggerlo mettendo in sottofondo questo audio: 






ossia la corrispondenza per RSera firmata da Giampaolo Visetti il 15 marzo: è identica, il corrispondente di Repubblica da Pechino ha copiato di nuovo, senza citare la fonte.

“Oops, I did it again”, avrebbe detto Britney Spears. 

Decido di affrontare la questione, scrivo un’educata mail al collega, lamentando che ancora una volta la fonte originale non è stata citata: Visetti ammette candidamente di avere ripreso i pezzi di AgiChina24.it almeno un’altra volta, e risponde che lui aveva inserito il riferimento ma purtroppo “i tecnici audio di Rep lo hanno tagliato”. Chiedo di citare la fonte ex post, soprattutto per difendere il mio lavoro e quello degli altri collaboratori di AgiChina24.it, gente che spesso chiude alle undici di sera, priva dei mezzi garantiti a un grande quotidiano come Repubblica, ma non ottengo alcuna risposta.

Questa non è solo una faccenda personale: qui e qui troverete un resoconto del lavoro di Giampaolo Visetti in Giappone, dove è stato accusato dalla comunità italiana di aver realizzato articoli a dir poco imprecisi sulla tragedia del terremoto dello scorso anno, trasformando ad esempio il sindaco di una cittadina colpita dal sisma in un eroico operaio, disposto a sacrificarsi per mettere in sicurezza la centrale di Fukushima. Le corrispondenze nipponiche sono valse a Visetti persino una poco onorevole menzione nel Wall of Shame, che trovate qui

Il metodo di lavoro adottato dal corrispondente di Repubblica sembra sempre lo stesso, anche quando si muove a Pechino: esagerazione e drammatizzazione dei fatti, imprecisioni, inesattezze. Potrei fornire altri esempi, ma ho già scritto troppo, e voglio concludere. Resto a disposizione per chiarimenti, se mi verranno richiesti.

Lettera aperta a “Repubblica”
Probabilmente dopo la pubblicazione di questo post non accadrà nulla. Qualche lettore penserà che si tratta di un post dettato dall’invidia verso un collega molto più blasonato, conosciuto e dotato di mezzi. Una “character assassination”, direbbero i soliti americani. Non ho strumenti per provare la mia buona fede, ma anche se fossi mosso esclusivamente dalla gelosia, e non dall’amore per un mestiere che ritengo debba anche svolgere una funzione sociale, cioè quella di informare il pubblico, penso che l’affaire Visetti possa comunque suscitare delle domande: possibile che a nessuno a Repubblica sia giunta voce dei metodi adottati dal loro corrispondente a Pechino? 

E’ stato fatto qualcosa per porre rimedio? 

E’ legittimo che il corrispondente di un quotidiano che da quando è stato fondato si erge a voce della coscienza nazionale commetta ripetutamente queste gravi scorrettezze?
Giampaolo Visetti è stato richiamato, avvertito, sottoposto a censura dal suo giornale? 

Non mi sembra sia successo niente di tutto questo: farebbe piacere sentire cosa ha da dire il direttore di Repubblica Ezio Mauro; ma d’altronde, come cantava Vasco Rossi, “non siamo mica gli americani”.